Il contratto finanziario c.d. “monofirma” ed i contrasti giurisprudenziali

La materia è oggetto di un diffuso dibattito giurisprudenziale. Secondo un orientamento della Suprema Corte qui condiviso e seguito anche da buona parte della giurisprudenza di merito, il requisito della forma scritta in relazione ai contratti finanziari è rispettato con la sottoscrizione da parte del solo cliente sul modulo contrattuale, non occorrendo la firma del funzionario della banca per il perfezionamento e l’efficacia del negozio. Ciò deriva dalla ratio stessa che ha originato la normativa prevista nel T.U.B.: quella di garantire protezione alla parte contrattuale ritenuta a priori meritevole di tutela, in quanto considerata sul piano negoziale più debole. Detta protezione è quindi assicurata quando il regolamento contrattuale è trasfuso in un documento firmato dal cliente e consegnato allo stesso.

Il ragionamento della Suprema Corte in merito è articolato e puntuale e se ne consiglia una lettura approfondita (cfr. sez. I, 27/04/2017, n. 10447). Nella pronuncia si ribadisce come non tutte le prescrizioni di forma siano uguali e come, nel caso di contratti finanziari, si possa correttamente parlare di c.d. “forma di protezione”, la quale, al pari della c.d. nullità di protezione, cui la violazione della stessa conduce, è volta a portare all’attenzione del cliente (parte debole) l’importanza del negozio e tutte le relative clausole.  Anche l’ordinamento europeo non mostra di ritenere rilevante una forma scritta per i contratti bancari e finanziari (cfr. direttiva 2007/64/CE, 2008/48/CE) ed altresì il legislatore italiano, nei casi in cui  ha richiesto la simultaneità delle firme, lo ha indicato esplicitamente. La  c.d. “forma informativa” è quindi rispettata allorchè il modulo contrattuale sia firmato dal cliente e allo stesso consegnato, mentre la sottoscrizione della banca non occorre. In tal modo sono garantiti l’interesse alla trasparenza e alla conoscenza e lo scopo informativo del cliente. Affinchè il contratto sia quindi perfetto, la volontà del cliente deve essere manifestata per iscritto ad substantiam, mentre quella della banca può essere manifestata in ogni forma consentita dall’ordinamento. Ciò peraltro mira ad evitare letture della normativa (ad esempio dell’art. 23 D. Lgs. n. 58/1998) che sarebbero disfunzionali ed inefficienti per il mercato finanziario, anche ai fini di un facile uso opportunistico dello strumento formale.

Secondo invece un orientamento più rigoroso (e non condivisibile) della Corte di Cassazione, la sottoscrizione di entrambi i contraenti costituirebbe un requisito di forma richiesto ad substantiam per la validità del contratto. Detto requisito è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti (proposta e accettazione) purché risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo ed entrambe le scritture siano prodotte in giudizio. Detto orientamento pone tuttavia diversi dubbi ancora dibattuti: sulla possibilità o meno di convalida di un tale contratto nullo ex art. 1423 c.c. (nella parte in cui statuisce: “… se la legge non dispone diversamente”) ovvero sulla convertibilità dello stesso in una proposta contrattuale ex art. 1424 c.c. ovvero sulla valutazione della “violazione della buona fede contrattuale” a fronte di un uso “selettivo” di detta nullità.

Sul punto si confida in una decisione delle Sezioni Unite.

(Studio Legale Associato Bitelli – 01/09/2017)