La Suprema Corte ha statuito che in tema di locazione immobiliare, la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti “ex tunc” dalla tardiva registrazione del contratto stesso.
Detta registrazione è implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonchè con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributarla con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998 (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 28/04/2017, Rv. 644006 – 01).
E’ opportuno poi sottolineare che quella della nullità del contratto non registrato costituisce fattispecie differente rispetto a quella (presa in considerazione dalla sentenza della Corte a Sezioni Unite n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471 – 01) che si determina in caso di pattuizioni volte a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, laddove sussiste cioè tra le parti un vero e proprio accordo simulatorio in relazione all’entità del canone, onde ad essa non è comunque applicabile la L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 13, riguardante esclusivamente tale diversa fattispecie.
(Studio Legale Associato Bitelli – 02/10/2017)