La Corte di Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza n. 23676 del 6 novembre 2014 ha escluso l’applicabilità dell’art. 230 bis cod. civ. ad una impresa gestita in forma societaria, di qualunque tipo essa sia. Chiarisce la Suprema Corte che l’impresa familiare è incompatibile con la disciplina di qualsiasi tipo di società. La Corte evidenzia come l’elemento caratterizzante dell’impresa familiare sia la partecipazione del familiare agli utili e ai beni acquistati con questi e anche agli incrementi dell’azienda, con riferimento all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato anche al di fuori dell’impresa e non in proporzione alla quota di partecipazione. L’impresa familiare ha così “natura residuale rispetto a ogni altro rapporto negoziale eventualmente configurabile”. Una residualità che, evidenzia la Corte, non può essere limitata al solo rapporto individuale tra imprenditore e familiare e cioè quando è possibile individuare, in concreto, un vero e proprio contratto associativo, eventualmente nella forma della società occulta, o di scambio (associazione in partecipazione, lavoro subordinato, opera intellettuale).