I vizi nel contratto di leasing

La Suprema Corte a Sezioni Unite (cfr. Cassazione civile, sez. un., 05/10/2015 – ud. 26/05/2015, dep. 05/10/2015 –  n. 19785) nel risolvere la seguente questione: “Se, in caso di leasing finanziario, l’utilizzatore sia legittimato – oltre che a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto – anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all’utilizzatore”, ha reso delle interessanti premesse sulla natura del leasing.

La Corte ha confermato che, se dal punto di vista economico, l’operazione di leasing è sicuramente trilaterale, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario, dal punto di vista giuridico si è invece di fronte a due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico.

Continua la Suprema Corte:

“E’ pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perchè possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l’intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all’utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo. Tant’è che, nella fisiologica evoluzione dell’operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all’utilizzatore, esce di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell’altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l’utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l’acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna. Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall’utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all’obbligo del pagamento del canone a carico dell’utilizzatore stesso”.

Conclude quindi la Corte che tra il contratto di leasing finanziario, stipulato tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un’ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto.

Invece, in mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale.

Sulla base di detti presupposti e nei soli casi di assenza di clausole contrattuali siffatte, le Sezioni Unite distinguono l’ipotesi in cui i vizi sono immediatamente riconoscibili dall’utilizzatore da quella in cui gli stessi si manifestano successivamente alla consegna, tenendo soprattutto conto che il canone di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti (art. 1375 c.c.).

La Suprema Corte ritiene che nel primo caso l’utilizzatore debba rifiutare la consegna, sicchè il concedente, una volta informato del fatto che l’utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all’uso, ha rifiutato la consegna, ha l’obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell’inadempimento, l’azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing.

Il secondo caso – quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l’accettazione verbalizzata da parte dell’utilizzatore – sicuramente consente all’utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa e, laddove ne ricorrano i presupposti, il concedente, informato dall’utilizzatore dell’emersione dei vizi, deve agire, in forza del canone integrativo della buona fede, verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione.

(Avv. Federica Bitelli – 05/09/2016)