Il contratto di locazione finanziaria e la portata della nuova disciplina (L. n. 124 del 2017) in relazione ai rapporti che non hanno ancora esaurito i loro effetti

La Suprema Corte in una recente sentenza (cfr. Cassazione civile sez. I, 29/03/2019, n.8980) ha ripercorso la disciplina regolante i rapporti di leasing per concludere che deve ritenersi definitivamente superata la teoria del leasing c.d. traslativo a cui si applicava per analogia l’art. 1526 c.c.

Secondo la Corte occorre partire dalla considerazione che, fino all’emanazione della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non esisteva nel nostro ordinamento una disciplina organica del contratto di leasing o locazione finanziaria, benché esso fosse oggetto di numerose disposizioni legislative settoriali, a partire dalla L. n. 183 del 1976, art. 17 (relativa all’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980).

Da ciò la conclusione che, fino alla recente novella, il leasing dovesse qualificarsi come contratto atipico o innominato.

In assenza di una disciplina organica del leasing, com’ è noto, a partire dalle sentenze della Cassazione n. 5570, 5572 e 5573 del 13 dicembre 1989, confermate con la sentenza delle Sez. Unite n. 65/1993, si è affermato in giurisprudenza un orientamento fondato sulla distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo”, quest’ultimo relativo a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione ed i cui canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale).

Si è inoltre consolidato l’indirizzo interpretativo secondo cui, nel leasing traslativo, la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. in materia di risoluzione del contratto ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa con valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti (Cass. 19732/2011).

Pure a seguito dell’introduzione nell’ordinamento (tramite il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 59) della L. Fall., art. 72 quater, che ha dettato un’unica disciplina per la locazione finanziaria, valevole sia per il leasing di godimento che per quello traslativo (Cass.1.3.2010 n. 4862), la Cassazione ha ritenuto che non potesse ritenersi superata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (Cass. n. 8687/2015; 2538/2016), affermando che la disposizione dell’art. 72 quater L.F. si applicava ad una situazione particolare (scelta del curatore di sciogliersi dal contratto pendente alla data di fallimento) e la sua disciplina non aveva incidenza al di fuori della materia fallimentare e dei rapporti giuridici pendenti.

La disciplina della L. Fall., art. 72 quater, tuttavia, ha una particolare rilevanza sul piano sistematico, in quanto, nonostante sia stata emanata successivamente all’affermarsi dell’indirizzo giurisprudenziale fondato sulla bipartizione del leasing finanziario in due fattispecie negoziali distinte e riconducibili a due diversi tipi contrattuali, riconduce ad unità tale contratto. Il leasing viene specificamente distinto dalla vendita con riserva di proprietà (il cui scioglimento è disciplinato dal successivo art. 73, mediante rinvio alla disciplina dell’art. 1526 c.c.), valorizzandone la causa di finanziamento, peraltro già desumibile dalla previsione degli artt. 1 e 106 TUB, i quali riservano alle banche ed agli altri intermediari finanziari la posizione di concedente nelle operazioni di locazione finanziaria.

Successivamente, la L. n. 208 del 2015 (legge di stabilità del 2016) ha introdotto nell’ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo (che contempla una serie di agevolazioni fiscali e di garanzie dirette a favorire l’utilizzo del leasing per l’acquisizione dell’abitazione principale) prevedendo anche in tal caso un’unica figura negoziale, caratterizzata dalla finalità di finanziamento.

Anche in questo caso, peraltro, si tratta di una figura particolare, che ha specifici presupposti ed un particolare ambito applicativo.

Da ultimo, però, la Legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, all’art. 1, ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.

La nuova normativa ha dunque tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L. Fall., art. 72 quater.

Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge.

In tale prospettiva la nuova normativa si pone in linea di diretta continuità con la previsione della L. Fall., art. 72 quater e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto di leasing, che, come già evidenziato, è ivi delineata secondo un paradigma unitario.

Da ciò consegue che anche gli effetti della risoluzione del contratto di leasing verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento devono essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.

Tale norma, pur dettata in relazione all’ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall’art. 1526 c.c.

Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità.

E ciò, a maggior ragione quando l’ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo “tipo” negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un indirizzo della Corte di Cassazione, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale.

Tale indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.

(Studio Legale Associato Bitelli – 2/10/2019)